1)ย Nitam e la delfina Riscia.
2)ย Il riccio Adalgiso.
3)ย Aurilobolia domestica.
4)ย Sognatrici della Luna.
Quarta storia Zen di Nitam e della delfina Riscia.
Nitam era un giovane pescatore dellโisola del Tino. La sua bellezza era rinomata in tutte le baie e tutte le ragazze dellโisola lo amavano follemente, invano, perchรฉ lui aveva dato tutto il suo cuore a Stellina.
Nitam ritornava dalla pesca sempre in tempo per godersi il tramonto insieme a Stellina. Il tramonto della spiaggia di ponente era magico, mentre il sole calava, la superficie del mare trasmutava in magici colori: dal rosso fuoco al violaceo, dal blu cobalto al grigio, per poi alternarsi in sfumature dal verde acqua al blu fino a confondersi con la luce crepuscolare. Nitam e Stellina stavano seduti in silenzio sulla battigia, mano nella mano, a godersi quella meraviglia. Lโenergia del loro amore fluiva in infiniti attimi di tantrico silenzio.
Nitam andava a pescare tutti i giorni anche con il mare grosso per poter mantenere i suoi genitori. Quella mattina il mare era un poโ mosso, ma Nitam puntรฒ il gozzo lo stesso verso il largo. Aveva giร calato le reti, quando vide da est, una tempestosa nube nera avanzare verso di lui. Mise subito la prua verso terra, ma presto le onde furiose dellโuragano travolsero il gozzo e scaraventarono Nitam a mare. Lottรฒ contro la furia delle onde con tutte le sue forze, ma infine, stremato, svenne dalla fatica e cominciรฒ a colare sottโacqua.
Stellina piangente scrutava lโorizzonte da terra presagendo la disgrazia. Le onde avevano giร portato sulla spiaggia alcune parti del gozzo, e tra queste la fiancata con scritto Stellina. La poveretta ormai si aspettava rassegnata che prima o poi quelle onde avrebbero portato il corpo esamine di Nitam.
Per fortuna non andรฒ cosรฌ: la delfina Riscia raccolse in tempo Nitam sottโacqua e lo tenne in superficie fino a quando non fu passata la bufera. Riscia fece rinvenire Nitam con la respirazione bocca a bocca e nel mentre Nitam sognava di baciare Stellina. Svegliandosi si accorse che quella era la bocca della delfina Riscia. Per nulla spiaciuto, continuรฒ con un caloroso bacio di ringraziamento alla sua salvatrice ed urlรฒ: “Sono salvo!” Tra se e se pensรฒ: “Questi baci, mi confondono e mi piacciono un poโ troppo!” Ridendo continuรฒ: “Va a finire che mi innamoro di una delfina!”. Nitam salรฌ in groppa a Riscia che lo portรฒ velocemente a terra.
Stellina al vederlo sano e salvo impazzรฌ dalla gioia, abbracciรฒ Nitam e ringraziรฒ di cuore la delfina.
Nitam salutรฒ Riscia con un grosso bacio: ad entrambi caddero grossi lacrimoni.
La sera Nitam e Stellina si incontrarono per il rituale appuntamento del tramonto, appena sotto il filo dellโorizzonte si intravedeva la sagoma di Riscia, ma Nitam quella sera era diverso, lโenergia del loro amore, non fluiva piรน come prima. Nitam non parlava piรน, guardava solo lโorizzonte e la delfina che lo aveva salvato.
Quella notte Nitam sognรฒ Riscia che lo baciava con dolcezza: si svegliรฒ turbato da una piacevole sensazione, dispiaciuto che si stesse esaurendo. Mise insieme i suoi risparmi si comprรฒ una nuova barca e la chiamรฒ Riscia in omaggio alla delfina che lo aveva salvato.
Stellina non gradรฌ tanto la cosa e cominciรฒ a diventare gelosa della delfina. Nitam varรฒ la nuova barca e si buttรฒ verso il largo, era una stupenda giornata e il mare era piatto come lโolio, calรฒ le reti e si sdraiรฒ al sole, sulla prua, speranzoso dellโincontro con Riscia.
Appisolatosi, un dolce fischio lo svegliรฒ, era la sua cara Riscia. Subito Nitam si tuffรฒ nellโacqua a giocare con lei, le ore passarono veloci e presto diventรฒ sera. Erano cosรฌ felici insieme! “Eโ lโora del tramonto” pensรฒ Nitam – ” Devo correre subito a terra da stellina”. Salpรฒ velocemente le reti, ma quando arrivรฒ a riva il tramonto era giร passato da un pezzo, anzi si vedevano giร le stelle. Stellina gli fece una scenata incredibile, era la prima volta che Nitam mancava lโappuntamento del tramonto.
Il giorno seguente, Nitam e Riscia sโincontrarono di nuovo al largo, e cosรฌ i giorni seguentiโฆ Riscia, arrivava puntuale annunciandosi con il suo dolce fischio: “Fiuiiโฆ Fiuiiโฆ Fiuiiโฆ Fiuiiโฆ”, e invitava Nitam a tuffarsi con lei.
Lei si muoveva nellโacqua con eleganza, nei suoi occhioni neri traspariva purezza e innocenza, le sue labbra erano morbide e profumate di mare. Si baciarono danzando nellโacqua.
Le delfine in amore sono danzatrici incredibili, cosicchรฉ Nitam cadde nel vortice della danza e dellโamore insieme. La sua mente era affollata di pensieri: “Mi sa che mi sono innamorato di Riscia. Eโ assurdo! Non ho mai sentito dire di un uomo che si innamora di una delfina. Ma io sto bene solo con lei! Quando mi bacia il piacere mi inebria e mi riempie fino alle unghie dei piedi”. “Sento le vibrazioni della sua testa in sintonia con la mia, e stasera voglio vedere il tramonto con Riscia”.
Cosรฌ fece: non tornรฒ a terra e si gustรฒ il tramonto al largo con Riscia. Furono momenti meravigliosi e cosรฌ intensi che Nitam volle trascorrere anche la notte di luna piena con Riscia. Ritornรฒ il mattino seguente.
Stellina era ad aspettarlo sulla battiglia: scoppiรฒ una lite infernale, parlava sempre lei. Nitam si limitรฒ a riferire una scusa pietosa: “Mi si รจ incagliata la rete, ho perso la notte per cercare di salvarla”. Ma a Stellina non piacque quella scusa.
Il giorno seguente, con un paio di binocoli potenti spiรฒ Nitam al largo e scoprรฌ lโidillio acquatico. Andรฒ su tutte le furie e cominciรฒ a premeditare una vendetta. Crudelmente pensรฒ: “Con il filetto di delfino si fa il โmosciammeโ, un prosciutto molto apprezzato dai turisti dellโisola, cosรฌ quella stupida delfina la smetterร per sempre di civettare con il mio fidanzato”.
I pescatori dellโisola del Tino non pescano il delfino perchรฉ รจ un pesce sacro e rispettato, solo alcuni cattivi lo fanno per denaro.
Argan era un pescatore senza scrupoli, accettรฒ volentieri lโincarico di uccidere la delfina in cambio di una notte dโamore con Stellina. Essa cosรฌ si sarebbe vendicata due volte.
Argan partรฌ subito col suo peschereccio, in direzione sud-ovest seguendo le indicazioni di Stellina. Infatti dopo poche miglia trovรฒ Riscia, che ignara andรฒ incontro al peschereccio in segno di amicizia. A Riscia piaceva gareggiare con le barche: cominciรฒ a nuotare saltando davanti alla prua del peschereccio. Argan, infido invece, teneva il suo arpione dietro la schiena, per colpirla appena fosse venuta a tiro. Riscia si avvicinรฒ ad Argan, per salutarlo, ma lui la colpรฌ a tradimento trafiggendole il dorso con lโarpione.
Riscia cominciรฒ a piangere e i suoi lamenti echeggiavano per miglia e miglia. Cercรฒ di strappare la corda, ma la fatica era inutile e la lotta impari; trainรฒ la barca per diverse ore cercando di disarcionarsi, ma alla fine si abbattรฉ sfinita. Argan la tirรฒ su col paranco di prua e la legรฒ per la coda con la testa in giรน allโalbero maestro.
Dovete sapere che i delfini vengono filettati vivi, e a testa in giรน, perchรฉ cosรฌ si dissanguano meglio, ed il โmosciammeโ diventa piรน buono. I vecchi pescatori dicono che una terribile maledizione si abbatte su chi uccide i delfini, ma Argan si vantava di non essere superstizioso. I lamenti di Riscia avrebbero commosso chiunque avesse avuto un cuore, ma Argan non lโaveva.
Nitam aveva sentito i lamenti di Riscia da lontano e stava arrivando col motore a tutta forza per salvarla, nel mentre Argan affilava i coltelli, pregustandosi la doppia ricompensa per lโuccisione di Riscia, canticchiava una vecchia canzone saracena: “Quantโรจ buono il mosciamme di delfino servito con un buon bicchiere di vino, se infine aggiungi pomodoro e cipolla, ti dร la forza di un leone e ti satolla”.
Nitam appena avvistata la barca di Argan scorse Riscia sfinita, ma per fortuna ancora viva, appesa allโalbero maestro. Infuriato puntรฒ la prua del suo gozzo contro la fiancata del peschereccio aprendogli una grossa falla. Argan si precipitรฒ sotto coperta per tamponarla pensando: “Quei due lรฌ, dopo li sistemo per le feste!”.
Nitam tagliรฒ il cappio a Riscia ed insieme si gettarono a mare. La povera delfina si riprese un poโ nellโacqua, e nonostante la ferita prese in groppa Nitam, ed insieme si diressero verso lo scoglio piatto.
Dopo un miglio si girarono e contenti videro la barca di Argan affondare lentamente insieme a lui. La maledizione si era avverata!
Arrivarono allo scoglio piatto, Riscia esausta si fermรฒ e guardandolo seria negli occhi disse a Nitam: “Mi vuoi bene?” Nitam annuรฌ. Riscia ribadรฌ: “Se mi vuoi bene, per sempre e ne sei sicuro, trattieni il respiro e non pensare a nulla”. Nitam chiuse gli occhi e si inabissรฒ con lei, si inoltrarono insieme nella caverna sottomarina sotto lo scoglio piatto.
Riemersero in un nuovo mondo, magico e pieno di luce, lรฌ abitavano altri delfini, foche, lontre e tartarughe di mare, fuggiti dal mondo malvagio degli uomini predatori, convivevano felici con altri esseri umani, buoni di cuore e dโanimo come Nitam.
Nitam e Riscia non ritornarono mai piรน nel mondo da dove erano venuti.
Le storie Zen nutrono lo spirito e migliorano la nostra consapevolezza. Tieni questa fiaba e leggila a chi ti รจ caro, viene da un cuore grande cosรฌ.
Il riccio Adalgiso.
Cosรฌ non si poteva andare avanti.
Da quando lโopulenza e la tecnologia terragne avevano celebrato i propri fasti, sotto il pelo dellโacqua letteralmente non si poteva piรน vivere.
Non รจ che i ricci fossero per principio contro il progresso; anzi, avrebbero tanto desiderato che il depuratore di cui da decenni si favoleggiava entrasse davvero in funzione; ma le generazioni dei ricci passavano, e del depuratore miracoloso si udiva sempre soltanto parlare e oramai nessuno ci credeva piรน. Sicchรฉ i ricci, cui comprensibilmente non garbava lโidea della propria estinzione, si diedero da fare per sostituirlo con i propri mezzi.
I ricci, in sรฉ, sono giร piccoli depuratori: incamerano lโacqua del mare, la filtrano e la risputano fuori pulita; questo hanno sempre fatto sin dallโorigine del tempo; e quindi per un poโ poterono illudersi che sarebbe bastato lavorare piรน intensamente e organizzandosi meglio.
Quasi tutti ostentavano un ottimismo un poco isterico: โForza ragazzi che ce la facciamoโ. Ma Adalgiso, un giovane riccio dagli aculei color glicine, non aveva nessuna intenzione di cedere alla viltร delle illusioni e ridestรฒ la coscienza di tutti dando voce al sentimento che tutti cercavano di dissimulare: โGente, lo vedete anche voi: se continua cosรฌ potremo scegliere se crepare avvelenati o morire di faticaโ.
Ora, bisogna sapere che i capi colonia avevano deciso che solo una rigida ed efficiente organizzazione del lavoro avrebbe salvato il mondo; e avevano assegnato a ogni individuo un lotto della baia con lโobbligo di depurarlo perfettamente: pena la morte; e non cโera piรน modo di fare altro, neanche lโamore, perchรฉ nessuno poteva abbandonare il proprio posto di lavoro: pena la morte. Sicchรฉ Adalgiso pronunciรฒ le sue poche parole parlando a scatti e sbuffando, perchรฉ intanto trangugiava e pompava.
I ricci improvvisamente si resero conto dellโassurditร della loro situazione, si ribellarono ai capi ed elessero presidente della colonia Adalgiso; il quale, trascorsa lโebbrezza dellโemozione e dopo avere approfittato della confusione per scambiare, finalmente, qualche bacetto con Lucilla, una ricetta color rosso amaranto che sorbiva e soffiava accanto a lui e della quale da tempo era innamorato, tremรฒ in ogni spina sentendo il peso tremendo della responsabilitร che sโera assunto.
Lucilla era bellissima, nessuna come lei conosceva lโarte di coprirsi con le conchiglie vuote: forse per mimetizzarsi e sfuggire alle aragoste, notoriamente golose di ricci, o forse per puro senso della bellezza.
Adalgiso fu tentato di proporle una fuga romantica e solitaria ai Caraibi, lontano da queste acque puzzolenti; ma ebbe vergogna: egli amava questi fondali e sentรฌ che aveva il dovere di tramandarli ai propri figli, puliti come erano stati una volta, odorosi dโarziglio e non di fogna e pollegrina. Purtroppo si puรฒ avere un desiderio e non sapere come appagarlo. Lโamore!
Adalgiso, come aveva trovato nellโamore lโenergia e le motivazioni per ribellarsi, vi trovรฒ anche la soluzione al problema che angustiava la colonia dei ricci e a dire il vero anche la comunitร degli uomini.
Si ricordรฒ del polpo Temistocle, che da molto tempo intratteneva una appassionata relazione con una giovane ma giร celebre giornalista. Gli uomini โ belle giornaliste comprese โ sono quelli che sono: le cose le vedono solo quando non possono farne a meno; la giornalista, benchรฉ abitasse una casa affacciata proprio sulla baia, non si era mai resa conto del disastro che aveva sotto gli occhi, e sotto il naso; ma a renderle giustizia occorre dire che da quando prese coscienza, esercitรฒ tutti i propri talenti per trovare una soluzione.
Subito dopo lโamore, la parola governa il cuore degli uomini; si puรฒ immaginare la potenza che potรฉ sprigionare la parola di una donna innamorata.
I suoi articoli misero in moto sentimenti sopiti, restituirono capacitร dโindignazione dimenticate, dignitร avvilite; a furore di popolo il Sindaco fu costretto a costruire un vero ed efficiente depuratore, quindi cacciato.
A gran voce la popolazione chiedeva che al suo posto venisse chiamato il riccio Adalgiso, che perรฒ non volle lasciarsi convincere: โ Per un lavoro cosรฌ โ argomentava โ ci vuole uno meno spinoso di meโ; e suggerรฌ il polpo Temistocle, che, infatti, fu subito eletto sindaco, nonostante qualcuno temesse che, con tutti quei tentacoli non si sarebbe piรน riusciti a staccarlo da quella poltrona.
Ma in questa favola tutto andrร bene e tutti vivranno felici e contenti: Adalgiso e Lucilla, sposi beati e fedeli, avranno un cesto di vispi riccetti ogni anno; la bella giornalista sarร assunta in Comune come Capo Ufficio Stampa e potrร stare accanto al suo Temistocle tutto il tempo che vorrร ; Temistocle, benchรฉ in effetti un poโ troppo attaccato alla poltrona, sarร un ottimo Sindaco; il mare tornerร pulitissimo; e se qualcuno dovesse pungersi con un riccio, invece di lamentarsi e imprecare, ricorderร che proprio ad essi si deve se il mare e il paese intero hanno potuto sottrarsi alla rovina.
Rudy Ciuffardi
Aurilobolia domestica.
Il nome del borgo di cui narriamo รจ (stranamente e senza alcuna giustificazione logica) lo stesso della cittadina che oggi abitiamo o calpestiamo: Sestri Levante; altra e diversa la gente; altra forma della vita; altro il tempo.
Una grande spiaggia e una spiaggia piccina, legavano alla terraferma lโIsola svogliata con curve di gomena lenta. Sulla spiaggia piccina ammiccavano gozzi da cinque palmi, e sembrano chierichetti parati alla messa solenne. Sulla grande si inarcavano i fianchi opimi dei leudi vinaccieri, maestosi come altari.
Molte religioni hanno imposto ai propri sacerdoti il rischio della vita; ma lโailurobolia รจ stata (con la tauromachia che stranamente le si apparenta e non a caso รจ scaturita dallo stesso fulgore mediterraneo) probabilmente lโunico rito di cui non si potesse dire in anticipo se gli officianti sarebbero stati sacerdoti o vittime.
Attraverso questa semplice incertezza, la religione diventava avventura, spettacolo, arte, favola, agone; cosรฌ si originavano nel culto, comโรจ profondamente necessario, tutte le piรน elevate attivitร dellโuomo, e vi risplendevano smaglianti le sue migliori qualitร .
Vi sono riti e culti che, come i nostri moderni, si aprono generosamente alle masse offrendosi con indifferenziata generositร alla pratica di chiunque; ma quello solo a unโindomita aristocrazia era riservato: perchรฉ solo gente coi nervi saldi, lโocchio vigile e il cuore indomito poteva accedervi.
Berretta ne fu il sacerdote supremo e lโindimenticato eroe: non solo e non tanto perchรฉ possedette in sommo grado tutte codeste sontuose qualitร , ma perchรฉ in ogni suo gesto riposava tra squillo e sublime, il mistero che in ogni campo dellโumane attivitร inconfondibilmente distingue il genio dal semplice talento e induce non di rado alla leggenda.
Lui, parlandone da vivo, aveva un tocco speciale, magico si vorrebbe dire stregante.
Quando ormai ogni felino aveva imparato a dissolversi alla vista dellโuomo, Berretta flautava il suo mellifluo, insidiosissimo Miciomicio: e subito, inspiegabilmente e come evocati, tre o quattro gatti stralunati emergevano da chissร quale patetico nascondiglio e mollemente lโavvicinavano.
Incantati, instupiditi si avvicinavano. Sembravano perfettamente consapevoli di quello che sarebbe loro accaduto ne sono sicuro: lo sapevano. Eppure venivano lo stesso: odiandosi, odiandolo, tremanti, ma venivano. Il suo richiamo era piรน forte della loro paura, della loro coscienza; lโattrazione piรน grande della ripulsa.
Lui li accarezzava con quelle mani enormi, nelle quali essi quasi scomparivano; loro issavano la coda, mestamente sventolandola, pareva piรน un gesto di resa o di rassegnazione che di beatitudine; e dopo un istante drappeggiavano alti nel cielo: neri, urlanti, con tutte le zampe aperte, mille unghie sguainate e il pelo ritto di terrore e di rabbia.
Svettavano sulla cima dellโalbero, oltrepassavano la punta del bompresso, e quasi non avevano ancora toccato terra che giร scappavano verso lโorizzonte con uno scoppio e un sibilo dโorrore.
Ma se superare con un gatto tutto un leudo in altezza e lunghezza giร gli era valso, e giustamente, un tributo unanime dโammirazione e di gloria, ciรฒ che fece di Berretta una leggenda, fu il modo in cui, in un giorno di primavera, affrontรฒ e domรฒ, addirittura umiliandola la famigerata Giovanna, la gatta del Titin, buonanima: una veterana che non aveva paura di niente, selvatica e feroce tanto da incutere lei, piuttosto, col semplice sguardo inquietudine e sgomento.
Era il ventotto di maggio, lasciamo imprecisato lโanno, quelli che furono giovani in quel tempo se ne ricordano nitidamente: lโincerto cane di Berretta, Fantasia, se ne andava per i fatti suoi fiutando placido i profumi dellโestate imminente, inseguendo una sua pista privata che sapeva dโarziglio dโacciughe e di fegato di manzo.
La Giovanna sonnecchiava sopra un tavolino del bar Titin. Fantasia non le badรฒ, probabilmente non lโaveva neanche vista. Forse fu questa tranquilla noncuranza che offese la suscettibilitร della gatta e stuzzicรฒ la sua ferocia; ma forse fu solo schietta malvagitร o una forma di noia stizzosa ad ispirarla. Fece uno scoppio come un petardo e gli si piantรฒ nella nuca con tutte le zampe e coi denti.
Fantasia, che forse non seppe mai che cosa esattamente gli si fosse infilzato sugli occhi, da dove piovuto e come, corse e uggiolรฒ e gridรฒ sgomento, disperato avvolgendosi come una biscia ferita, finchรฉ non capรฌ che lโunica speranza di liberarsi dellโunghiuto malanno che lโuccideva stava nel vasto mare salato che, per fortuna di tutti a Sestri, era a quel tempo a due passi da ovunque e con lโultimo fiato, a rotta di collo, vi si diresse e a capofitto si tuffรฒ: invano.
Andรฒ al largo, al largo, al largo; nuotรฒ sโaffannรฒ, si scosse: invano, invano; la gatta maledetta stava sempre piรน saldamente infissa nel suo cervello finchรฉ stremato il povero cane calรฒ a cercare sollievo nella morte sul fondo della baia e la gatta se ne tornรฒ a riva tronfia, con la faccia grassa e soddisfatta. A terra, ad aspettarle, cโera Berretta.
E attorno a lui, piรน o meno dissimulata, tutta una folla di gente attenta e curiosa.
Quando questa Giovanna approdรฒ, Berretta tranquillo, dolce, fra lo stupore e la perplessitร di tutti quelli che sapevano il suo amore per Fantasia e lo immaginavano inferocito e implacabile, la chiamรฒ affettuosamente. Lo sguardo arrogante che la gatta gli gettรฒ non cโรจ modo di immaginarlo nรฉ di descriverlo, bisogna averlo visto; cosรฌ come bisogna aver visto con quale atteggiamento di sfida, a rinforzo dellโinequivocabile strafottenza dello sguardo, gli si fosse avvicinata: tesa come una vela al vento, le fauci aperte e le zanne e tutte le unghie in minacciosa evidenza.
Berretta mostrรฒ di non avvedersene e lโaccarezzรฒ sulla testa. La gatta voltรฒ lo sguardo in su, stupefatta, rabbiosa. Lui lโaccarezzรฒ sotto il mento, poi sulla schiena e sotto la pancia.
La gatta, stizzita, sโinarcรฒ contro le sue caviglie; orgogliosamente provรฒ a sottrarsi, si scrollรฒ con vigore, ma come lui continuava ad accarezzarla con parolette dolci e mano ipnotica, infine si distese e alzรฒ la coda in pigre, dolenti volute lussuriose. Allora Berretta fulmineo lโafferrรฒ e dopo averla fatta vorticare tre volte a braccio teso la lanciรฒ in mezzo alla baia. Il pubblico esplose in unโovazione incontenibile. Vi furono grida, commenti di incredulo stupore, mormorii dโammirazione, risate; vi fu persino un accenno di battimani.
Ma quando videro il muso della gatta che tornava a terra fendendo lโacqua coi baffi ritti come un incrociatore, ognuno sentรฌ in se una profonda inquietudine, un amaro disagio, il mesto desiderio di essere altrove. Qualche finestra si chiuse, un gorgo di vuoto e di silenzio si scavรฒ attorno a Berretta, il quale fermo, immobile stava elevando, senza sospettarlo, il proprio monumento.
La gatta aveva appena toccato terra che giร dopo una sgroppata sommaria e poco piรน che formale, sโavventava: soffiando irta di rabbia fremente. E forse perchรฉ lโevento fu istantaneo o forse perchรฉ tutti gli occhi istintivamente si chiusero, nessuno vide in che modo la terribile Giovanna finรฌ dallโaltra parte della baia.
A quel punto la perfida parve averne abbastanza e scelse per risalire a riva un punto ben lontano dalle grandi mani e dalle lunghe braccia mulinanti di Berretta.
Ma non era che astuta, dissimulante strategia: lโostinata, infida, indomita, aveva ancora in cuore la volontร sontuosa del riscatto, il desiderio della grondante vendetta; e mentre lโeroe acclamato da buffoni importuni, se ne tornava a casa amareggiato, gli tese un ben meditato agguato: gli piombรฒ addosso da una grondaia.
E allora โ fortunato chi assistรฉ a tanta meraviglia, beato chi puรฒ raccontare โio cโeroโ – , si vide, stagliante nel cielo abbagliante del carruggio, silenziosa (orgogliosa e superba fino allโultimo) la sagoma scura della Giovanna che dopo molto volteggiare, ricadde ferocemente su un tetto e della quale ognuno udรฌ, con agghiacciante chiarezza, il sordo brontolio di rabbia e di minaccia, e il furibondo trepestio sulle tegole.
Nessuno la vide piรน, nessuno ne seppe mai piรน niente. Berretta divenne lโidolo di tutti i ragazzini e certo, seppure intimamente schivo, un poโ se ne compiacque anche lui. Nessuno, perรฒ, seppe mai come nรฉ perchรฉ, da quel giorno non tirรฒ mai piรน.
E come senza di lui lโailurobolia non avesse senso, il lancio rituale del gatto decadde e in breve se ne perse persino la memoria. E questo รจ naturale, logico, inevitabile.
Qualche romantico potrร dolersene, altri se ne rallegreranno; i saggi (che sono la maggior parte degli uomini, contrariamente a quanto si crede) resteranno perfettamente indifferenti.
Ma non รจ tutto qui: la fine dellโailurobolia, quella stessa di Berretta e di Sestri, non sono che sintomi, parole di un messaggio che ci sfugge ma che oscuramente percepiamo e in qualche modo, anche, comprendiamo. Senza che nessuno lo volesse, senza una causa visibile, il tempo si mise improvvisamente a correre: le cose sembravano diventar liquide e sfuggivano tra le mani degli uomini perplessi con fulminanti metamorfosi.
Una fabbrica incomprensibile cadde, enorme, nera, puzzolente nella piana alle spalle di Sestri. Era una trappola infame. Berretta era troppo intelligente per non accorgersene; ma capire non รจ mai servito a nessuno: le sue stesse virtรน congiuravano contro di lui, gettandolo in braccio al destino che li avevano approntato: il fascino dellโesperimento, il coraggio, la curiositร , la voglia di avventura, il disprezzo della vita e della morte, persino la pietร figliare lo spinsero oltre la soglia del segreto, oltre la soglia della fabbrica sconcertante e misteriosa.
Dopo meno di unโora di lavoro, mentre armeggiava a cavalcioni di una rotaia a trenta metri di altezza, si spezzรฒ non so che cavo, e Berretta fu preso in pieno. E volteggiรฒ in aria, grosso comโera, a braccia larghe e gambe larghe, dinoccolato e atroce.
Rimase negli occhi per sempre a quelli che lo videro e nei loro orecchi restรฒ il tonfo sordo del suo corpo che non si rialzรฒ e non fuggรฌ.
Dio solo sa che cosa sia diventata, da quel giorno Sestri Levante. Dellโantico borgo, e della vita barbarica che un giorno lo impreziosรฌ, non rimane traccia che nella vaga memoria dei vecchi e nella nostra malinconica letteratura.
Ma sopra le rovine dei tetti del carruggio, nel cielo malinconico ove una volta sโera stampata la Giovanna, si sente vibrare talvolta (e non di rado anche si vede) un sogghigno orribilmente compiaciuto.
I vecchi dicono chโรจ il diavolo e chissร che non abbiano ragione! Ma non mi sentirei di giurarlo: le cose sono sempre un poโ piรน complesse di quanto non si desidererebbe. Quello che so รจ che lโaspro spirito del gattobolo era ben vivo ancora, sebbene distrattamente, in Giulain, come il lettore potrร costatare al capitolo 22 della storia di Mario!: storia tormentata, ridicola e feroce; folle e dispersiva come ogni autentica tragedia e vita.
Vincenzo Gueglio
Sognatrici della Luna.
Sonia era una bambina; ma non certo una bambina qualunque: pensate: era Sonia e per giunta faceva la terza elementare nel paese di Segesta.
Anche Segesta non era un paese qualunque: incastonata nel mare e circondata da almeno trecento colline che โ affascinate e incuriosite dalla meraviglia che vedevano dalle loro cime โ si stiravano come querce fino a raggiungere con qualche loro propaggine e radice il fondo misterioso e fantastico del mare, cui si aggrappavano con tutte le unghie e dal quale traevano il colore per i loro alberi stinti, e intanto incidevano sulla costa tante spiagge che brillavano come soli e lune e stelle, oro, smeraldi e zaffiri che rimandavano in cielo una luce che non c’era mai stata e rendevano felici i bambini: un po’ perchรฉ i bambini sono naturalmente amici della luce e del sole, un po’ perchรฉ su quelle spiagge, che nessuno aveva mai potuto contare e delle quali nessuno se non loro possedeva il catalogo, i bambini potevano disperdersi โ come branchi di acciughine disturbate da un sasso o minacciate da un nemico โ quando la bellezza delle cose e la voglia di vivere gl’impediva, proprio gl’impediva, di andare a scuola.
A scuola, dove ogni tanto pure accettavano di portare la loro gioia, la maestra gli aveva spiegato come fosse accaduto, in tempi remoti, che l’Isola si fosse legata alla terraferma; ma loro sapevano giร che erano stati i passi dei bambini curiosi e l’andirivieni dei sogni e dei sospiri, l’amore reciproco del mare e della terra (che tuttavia a volte litigano anche, spaventosamente, come tutti i veri innamorati) e il bisogno di un colloquio continuo fra gli esseri del mare e della terra. Loro queste cose le sapevano, le sapevano perfettamente senza bisogno di averle studiate, perchรฉ erano parte di quell’amore e di quel bisogno.
Si capisce dunque come mai โ fra tutti gli altri motivi che ognuno intuisce โ s’รจ detto che Sonia non era una bambina qualunque; e d’altra parte si capisce anche, senza bisogno di spendere nemmeno una parola per spiegarlo, che Sonia era una bambina proprio come tutti gli altri bambini; e che, proprio come ogni bambino, nella sabbia e nell’acqua vedeva tutte le infinite possibilitร delle cose e si sentiva prudere le mani e la mente per la voglia di dare una forma a qualcuna di esse. E cosรฌ si metteva a costruire mondi di sabbia: castelli, draghi, vulcani e altre cose che i grandi non capiscono e non sanno.
Quel giorno aveva deciso di costruire il castello di re Arturo (re Arturo e la sua corte, forse non tutti lo sanno, รจ una fantasia comune a tutti i bambini, che poi da grandi in genere se ne dimenticano: tranne alcuni, che inseguendo un vago ricordo, ci scrivono su storie sfrontate e colme dell’antica maraviglia), quando un bambino sconosciuto, e intriso perรฒ della sua stessa idea, si offrรฌ di aiutarla.
Era un bambino, lo si vedeva subito, di quelli che vengono qui d’estate, al seguito delle famiglie ansiose, per prendere un po’ di colore e di salute.
Sonia sapeva giร che aveva la sua stessa etร , e sapeva giร anche molte altre cose di lui quando gli chiese: โCome ti chiami?โ.
โMartino!โ rispose il bambino, e come se ne avesse colpa aggiunse: โVengo da Buttano, un nebbioso paesino delle Langhe, sono qui in villeggiatura per due mesiโ.
Sonia non aveva la minima idea di che cosa fossero le Langhe, naturalmente, eppure quel nome le piacque e le evocรฒ: negli occhi le si accumularono scogli pallidi, terre grigie, spaccate da profonde fenditure e intricate da un cielo vago che faceva anche da sfondo ed era una specie di mare; vide anche un fascio di luce che fendeva l’oscuritร ; la seguรฌ e ne arrivรฒ alla fonte: erano i capelli di Martino, splendenti come il sole, e i suoi occhi azzurri che la guardavano limpidi come il cielo di Segesta nei giorni di tramontana e facevano del radioso Martino come un pezzo di Segesta incastonato in un altrove misterioso.
Sonia tornรฒ alla realtร ed una voce estranea parlรฒ per lei dicendo, con tono distaccato: โDai, Martino, comincia a lavorare; prendi dei secchi di sabbia bagnata, cosรฌ cominciamo a costruire la prima torreโ.
Mentre Martino riempiva i secchi di sabbia, Sonia pensรฒ: โChissร chi ha ordinato alla mia voce di uscire cosรฌ in fretta e senza riflettere, non certo io, che stavo ancora sognandoโ. In ogni caso Sonia non si rammaricรฒ troppo dell’accaduto, il suo cuore era felice di fare il castello con Martino.
Nel tardo pomeriggio il castello era finito, tutto era filato liscio, ci fu solo un lieve diverbio a metร costruzione sull’architettura delle torri: lo risolsero facendo ciascuno a suo modo e videro che in fine il risultato era buono.
Il castello era giร bellissimo; tuttavia, poichรฉ la bellezza non รจ mai troppa o comunque sembrava ai loro cuori di poter fare di meglio, decisero di decorarlo con le conchiglie e i vetrini multicolori che si trovavano sulla battigia.
Frugando fra le pietruzze colorate e brillanti, l’occhio di Martino fu attratto da un pezzetto di mattone a forma di cuore, consumato dal sale e dall’erosione delle onde, una patina di sale lo avvolgeva come fosse un candito e ne esaltava ancor piรน il colore e, si sarebbe detto, il sapore.
Con finta noncuranza, Martino lo prese e lo incastrรฒ dolcemente sulla porta del castello.
Quando Sonia lo vide arrossรฌ. Martino arrossรฌ a sua volta talmente tanto che i suoi connotati non riuscivano piรน a legare tra loro. Il cielo blu dei suoi occhi, il grano giallo dei suoi capelli, il rosso papavero delle sue gote lo rendevano simile a un dipinto di Van Gogh.
Sonia volle guardarlo severamente, ma il suo cuore batteva caldo come il sole in persona, e chissร che sguardo ne venne fuori.
Martino credette di poter uscire dall’imbarazzo (capita anche ai bambini) con un po’ di ipocrisia e di letteratura; balbettรฒ, cercando di infondere fermezza e indifferenza nella voce: โQuesta porticina a forma di cuore, vedi, รจ una sorta di omaggio alle favole, al tuo paese โ so che Andersen รจ passato di qui e ha lasciato il nome all’altra spiaggia, che si chiama Baia delle Favole โ e poi… mi sembra un bel contrasto, questo richiamo un po’ ironico alla casetta tipica delle fiabe, con la maestร un po’ trofia del castelloโ.
Sonia, che non s’aspettava niente ma s’aspettava tutt’altro, senza sapere nรฉ come nรฉ perchรฉ si sentรฌ irritata ed offesa da qual profluvio di parole o da chissร che cos’altro. Si sentiva ferita, ecco; ferita, ma non sapendo esattamente da che cosa e non avendo nรฉ rivendicazioni da avanzare nรฉ argomentazioni da opporre, lo interruppe freddamente e con voce scocciata disse: โE’ l’ora di andare a casa, il sole sta tramontando!โ.
Sonia stupรฌ, di nuovo, per quella voce che le usciva fuori senza che lei l’avesse pensata o decisa e tantomeno autorizzata; a volte l’aiutava a togliersi d’impiccio; adesso chissร … Sonia si sentiva delusa per non avere trovato le parole che colpissero Martino con l’amarezza e la ferocia che le intridevano la carne e il cuore.
โBehโ, pensรฒ Sonia, โmi capiterร pure l’occasione di fargliela pagareโ.
Ma che cosa doveva fargli pagare? Che cosa l’aveva ferita? E come?
A quel punto una vocina spuntรฒ dal cuore di Sonia e le sussurrรฒ: โMartino รจ solo un ragazzetto timido: tu gli piaci, รจ chiaro, ma non riesce a dirtelo apertamente; cosรฌ, nella sua timidezza, ti ha messo il cuoricino per dichiararti il suo amoreโ.
La vocina continuรฒ: โE tu perchรฉ fingi d’essere cosรฌ fredda e indifferente? Perchรฉ non lo prendi per mano e lo inviti a guardare il tramonto con te?โ.
Sonia troncรฒ la vocina, mentre il suo Ego tornรฒ secco: โDistruggiamo il castello prima di andare via?โ
Martino che voleva salvare il piccolo monumento del sua amore disse: โMa no, lasciamolo fino a domani mattina, voglio farlo vedere a mio padreโ; e salutando Sonia con aria indifferente aggiunse: โDomani sei qui?โ
Sonia scrollรฒ le spalle e la sua vocina rispose: โNon so, forse!โ.
Martino, frastornato dall’emozione, rimase a guardare i colori del tramonto โ non ne aveva mai visti tanti, nรฉ cosรฌ intensi e struggenti โ e ad ascoltare i battiti del suo cuore commosso โ e non ne aveva mai sentito di cosรฌ forti; e conturbanti-.
Prima di andare via la mano di Martino rubรฒ il cuore di mattone. Martino quella sera non uscรฌ: se ne stette in casa a sognare e ad intarsiare col temperino le lettere M e S sul cuoricino di mattone.
Sonia, invece, quella sera uscรฌ col papร Cesare con la scusa di fargli vedere il castello, prima che qualche monellaccio lo distruggesse. In realtร , anche Sonia voleva rubare il cuoricino, diventato improvvisamente importante per lei. Arrivati alla baia, Sonia cominciรฒ con discorsi del tipo: โGuarda papร che bel castello ho fatto oggi con Martino…โ, โAh!โ, soggiunse Sonia: โMi sono dimenticata di dirti che oggi ho conosciuto un bambino di Buttano che…โ, Sonia si interruppe di colpo! Il cuoricino non stava piรน sulla porticina del castello nรฉ in nessun’altra parte. Cesare riapre il discorso: โSonia, cosa mi dicevi a proposito di Martino?โ, Sonia si strinse nelle spalle e con le mani sul ventre rispose: โPresto, portami a casa papร …… ho freddo; ti racconterรฒ tutto strada facendoโ.
Ma non disse piรน nemmeno una parola. Giunta a casa, balbettรฒ una scusa e corse a chiudersi in camera. I suoi pensieri vagavano come tronchi alla deriva in una corrente che tirava da tutte le parti: qualche tronco sbatteva sulla scogliera della logica, qualcun altro sulla battigia della speranza; i tronchi piรน grossi erano i pensieri che la corrente portava al largo nel regno dei sogni.
Stringeva nelle mani un cuoricino che non c’era e che avrebbe voluto impreziosire con le sole iniziali che ormai contavano per lei. Un pensiero galleggiante la rincuorava: โIl cuoricino l’ha preso Martino e adesso ci sta incidendo le nostre inizialiโ.
Le correnti, si sa, girano ed un altro pensiero affondรฒ in Sonia sussurrando maligno: โTi sei comportata da bambina stupida, Martino si รจ arrabbiato ed ha buttato il cuoricino a mareโ. Non la consolavano eventualitร del tipo: โL’avrร preso qualche bambino per giocarciโ. Anzi, questo la mandava in furia, era insopportabile pensare che un bambino giocasse col simbolo del sua amore: sarebbe stata la profanazione di una cosa sacra.
Sonia si addormentรฒ e sognรฒ: Martino le veniva incontro e poi… si baciavano, proprio come nei film.
Eh, sรฌ: nel sogno i desideri vengono fuori come le lumache dai gusci nei giorni piovosi; purtroppo nei sogni emergono anche le nostre paure ed ossessioni e si ingigantiscono senza misura.
Sonia adesso sognava un grande cuore di mattone e una ruspa che lo stava caricando su di un Truck colorato, poi confusione, poi il Truck stava scaricando il cuoricione giรน da una rupe……. si sarebbe spaccato…… Sonia ansimava e impotente non riusciva nรฉ a muoversi nรฉ a gridare….. Martino la guardava e rideva dicendo: โCosรฌ impari a fare la stupidina con me, io di Sonia ne trovo una ogni angolo!โ.
Il sogno si ingarbugliava sempre di piรน cangiando tinte e contenuti: adesso il cuore gigante diventava incandescente, poi un soffio di Martino lo tramutava in oro, un vento forte alzava il cuore che si conficcava nella porta della Chiesa di S. Maria di Nazareth, dove lei era stata battezzata: dalle fessure delle iniziali M e S usciva una luce scintillante e subito dopo dalle stesse fessure uscirono Sonia e Martino in vesti nuziali, tirando riso agli amici.
Quello si che era un bel sogno; Sonia cercรฒ di fissarlo il piรน possibile, ma una grossa nube coprรฌ tutto mentre lei urlava: โMartinoooโ.
Si svegliรฒ sudata; era ormai l’alba, Sonia lentamente tornรฒ alla raltร : e scoprรฌ di essere innamorata.
Ormai non poteva piรน ingannare se stessa! Le varie vocine che venivano dall’anima, dal cuore, dalla sua stessa mente educata non le interessavano piรน, anzi nemmeno le ascoltava: si era chiusa in quella meravigliosa fortezza che si chiama amore. Unico, solo, forte e incontrollabile. Sonia tutto a un tratto capรฌ cosa volevano dire certe frasi nei romanzi d’amore, credeva fossero scemenze prima, adesso avrebbe potuto scrivere di meglio lei. Anche poesie avrebbe potuto scrivere, se avesse voluto, ma adesso lei voleva che la poesia fosse la realtร , l’amore.
Nessuno di scandalizzerร , nevvero?, sentendo parlare dell’amore di una bambina di sette anni. Evvia, lo spaete anche voi, in fondo, che anche (o soprattutto) a quell’etร si ama โ o si puรฒ amare โ davvero. E perchรฉ altrimenti l’amore sarebbe raffigurato sempre come bambino? L’amore (si finge di saperlo ma poi si stenta a crederlo quando si scopre che quanto si รจ soliti ripetere รจ proprio vero) รจ cieco come la fortuna e non fa alcun caso all’etร .
L’amore non fa calcoli: รจ azione al presente; รจ audacia: Sonia va alla spiaggia in cerca di Martino. Sonia ha perdonato completamente Martino; anzi non ricorda nemmeno piรน che cosa aveva potuto rimproverargli; rimprovera se stessa, piuttosto; si rammarica dei propri pregiudizi, della propria stupiditร di bambina che si comporta non secondo la propria volontร e secondo i propri desideri ma come una marionetta agitata da chissร chi.
Sonia s’infila nel Carrugio che porta al mare con la ferma intenzione di farsi perdonare da Martino.
Orrore! Il castello, testimone del loro amore, รจ stato travolto e quasi interamente dissolto dalla marea notturna: non ne sono rimaste che poche tracce penose: il fantasma del fossato โ una pozzanghera di sabbia โ le vaghe forma delle torri slavate dall’acqua.
Sonia pensa al significato delle parole โCastello di sabbiaโ ed ha il terribile presentimento che cosรฌ si sia dissolto il loro amore.
Alcuni lacrimoni le scivolano giรน dalle guance, cadono giรน nella sabbia, nel mare che se li porta via. Ma intanto un pensiero la consola: โil cuore perรฒ รจ di mattone, quello durerร !โ.
La mattina passa in fretta e Martino non si fa vivo. L’angoscia comincia ad impadronirsi di Sonia e tremendi pensieri affollano la sua testolina.
Sonia chiede ad Alfredo, proprietario del magazzino dove Martino tiene le sdraio, se lo ha visto o se sa come mai non รจ venuto al mare. La risposta di Alfredo si traduce in una violenta mazzata per Sonia: โMartino รจ partito per Buttano, una sua zia sta molto male: penso proprio che non tornerร piรน per questa estateโ. Sonia nella disperazione piรน totale, osa chiedere: โHa lasciato per caso un biglietto per me?โ
Alfredo sorridente, con un risolino da presa in giro risponde: โNo, perchรฉ? Doveva?โ.
Sonia torna a casa desolata e, in compagnia dei lacrimoni che le scendono sulle guance, si chiude in camera.
L’estate finisce presto, senza che Sonia abbia notizie di Martino.
L’amore, anche questo si sa o si finge di sapere, se ne infischia della ragione โ di tutte le ragioni, come pure dei torti; induce a pensieri ed azioni stravaganti, felicemente assurde o inutili e proprio perciรฒ, forse, preziose. Come accade โ chissร poi perchรฉ โ a quasi tutti gli innamorati, Sonia comincia a fissare la luna, tutte le sere, anche quando la luna non c’รจ.
La sua mente corre lassรน, girovaga per i crateri, si crogiola in riva agli oceani (mai visti oceani cosรฌ asciutti!), piroetta per le pianure senz’alberi e senz’erba (ma in che cosa mai si distinguono dai mari?) e poi se ne torna indietro.
Sonia a poco a poco scopre che preferisce vivere sulla luna, torna indietro sempre piรน di malavoglia, sempre piรน raramente, giusto per vedere il babbo, la mamma, il gatto; ma si sente sempre meno a casa sua, qui, anche se fatica ad ammetterlo.
E Martino? Martino era dovuto partire in tutta fretta senza tempo nรฉ modo di salutare Sonia e Dio sa se e come avrebbe voluto farlo. Mille volte prese carta e penna per scriverle, ma lei lo aveva lasciato con tale freddezza che gli aveva tolto tutte le parole: l’inchiostro nella penna si era seccato e la carta era cosรฌ ostinata a rimanere bianca che non c’era verso di farle accettare nemmeno uno scarabocchio.
Ma la mancanza delle parole non significa certo mancanza d’amore, anche se a volte le ragazze sembrano crederlo… Insomma, non un giorno Martino smise di amare la misteriosa Sonia.
;a l’amore conosce vie tutte sue. Martino prese anche lui a fissare la luna con totale intensitร ; e anche la sua mente cominciรฒ a tessere un fitto andirivieni fra la sua cameretta e le brulle, affascinanti praterie della luna, che forse sono oceani.
E’ quasi certo che le fantasie โ le anime โ dei due bambini si siano incontrate lassรน; ed รจ quasi certo che sovente siano tornate assieme sulla terra; ma i bambini non lo sapevano: perchรฉ la coscienza รจ difesa da mura alte e robuste, che respingono le fantasie e spesso anche la veritร come se fossero nemici pericolosi, e non li lasciano entrare. Ma anche le difese piรน salde hanno qualche fessura, e per quelle esili fessure filtrava nei cuori dei bimbi un’emozione, un calore che era quasi ricordo. Ma ciรฒ che รจ nel cuore รจ nel cuore, anche se a volte grida forte disperatamente, difficilmente riesce a far giungere la propria voce al cervello, e anche se ci riesce, il cervello non capisce, perchรฉ cuore e cervello parlano lingue tanto diverse che piรน non si potrebbe. Ma esiste sempre, nel tempo, un varco, un giorno in cui anche le pietre possono farsi capire; e gli uomini (se vogliono) possono capire le lingue in cui parlano l’acqua e il fuoco: e persino le lingue, che sono le piรน difficili a capirsi, degli altri uomini; e i corpi capiscono, se vogliono, le voci dei loro cuori; e altre cose. Se vogliono.
Accadde a Natale.
Forse perchรฉ davvero a Natale c’รจ in giro una maggiore disponibilitร all’amore, o magari solo per caso, fatto sta che a Natale Martino, con la scusa degli auguri, spedรฌ una cartolina natalizia a Sonia. Avrebbe preferito mandarle una lunga lettera, e confessarle tutto quello che provava per lei, ma non era affatto sicuro che le parole gli avrebbero obbedito: le parole, si sa, come i gatti, se ne vanno dove vogliono loro: accade anche a veri scrittori di non riuscire a domesticarle, figuriamoci ad un bambino, e a un bambino emozionato, poi… E poi… il coraggio non cade mica nel cuore come un meteorite, nasce poco a poco, come un fiore, ed รจ altrettanto delicato… e infine, un biglietto d’auguri, vi sembra cosรฌ poco? Eccolo, cosรฌ ognuno giudicherร da sรฉ, ch’รจ sempre la cosa migliore: โCara Sonia, auguri di buone feste! P.S. Ho tenuto il cuoricino di mattone come ricordo dell nostro Castello di Sabbiaโ! Non so che effetto possano aver fatto su di voi queste poche parole. A Sonia fecero balzare il cuore fino alle stelle, anzi fin sulla luna.
Martino non ebbe bisogno di aspettare il postino per ricevere la risposta immediata di Sonia: โCaro Martino, auguri anche a te! P.S. Voglio incontrarti subito sulla lunaโ.
Martino si affacci alla finestra, la luna รจ splendente; l’anima di Martino ha cosรฌ fretta ed รจ cosรฌ forte e felicemente sbadata che sale, stavolta, portandosi appresso tutto il corpo.
E quando Martino giunge sulla luna Sonia รจ giร lรฌ ad aspettarlo: in carne ed ossa come lui. Con il medesimo frettoloso entusiasmo di Martino si รจ dimenticata di staccarsi dal corpo.
Ma oggi i corpi non sembrano affatto separati dalle loro anime, non fanno nessuna resistenza, non si stupiscono nemmeno; e del resto, di che cosa mai potrebbero stupire?
E voi vi meravigliate freddamente, forse, o addirittura pensate che sia impossibile che due bimbi siano sulla luna, e respirino e sorridano come sulla terra e anche meglio, senza soffrire nรฉ il freddo nรฉ il caldo?
Ma essi sono l’aria e il respiro l’uno dell’altro…
Martino sorridente va incontro a Sonia offrendole il cuoricino di mattone; Sonia allunga le mani ed insieme stringono cosรฌ forte il cuoricino che diventa incandescente! E continuano a stringere, finchรฉ anche loro diventano incandescenti fino a fondersi in un’unica luce splendente.
Questa nuova luce nel firmamento (le vedete?) propizia e protegge gli amori innocenti e puri: forse perchรฉ anche lei ha bisogno di compagnia; o forse solo perchรฉ cosรฌ le sembra giusto, o anche soltanto perchรฉ le piace…
Se anche voi siete cosรฌ โ puri di cuore e capaci d’amore -, non ho bisogno di dirvi altro: voi sapete tutto di quella luce โ che non รจ solo nel cielo-; se non siete proprio cosรฌ, beh, non perdete la speranza, potrete diventarlo; quella luce รจ lรฌ anche per voi, e prima o poi vi scenderร nel cuore, o voi vi eleverete sino a lei. E’ sicuro. O quasi.
di Rudy Ciuffardi
Illustrazioni di Stefano Biglia